Dopo l’ondata Avatar e i più recenti sistemi di fruizione, dalle numerose sale cinematografiche che passano al 3D ai recenti televisori già predisposti per la visione di film e contenuti audiovisivi in 3D stereoscopico, gli addetti ai lavori s’incontrano per analizzare questa fase di cambiamento epocale che sta avvenendo nella settima arte e nel settore dell’entertainment.
Questo il tema del Workshop sul Cinema 3D del 2 luglio a Roma, presso il CineLab dell’Isola del Cinema (isola Tiberina) organizzato nell’ambito dell’8^ edizione del Festival CinemadaMare di Franco Rina. Ospiti del Workshop parte degli autori e dei tecnici che stanno realizzando proprio un film in 3D, ‘Sacro Codice’, una sorta di Avatar italiano, che hanno tenuto una sessione di docenza ai 100 registi presenti, provenienti da 47 paesi stranieri.
Dopo l’introduzione del giornalista di La7 Franco Rina, sono interventi il supervisor agli effetti visivi Gianfranco Confessore, che ha introdotto brevemente sia gli aspetti tecnici che l’impiego delle attrezzature e delle tecnologie della stereoscopia (la tecnica usata per far uscire dallo schermo oggetti e personaggi), il regista del film Jordan River, che ha illustrato come il fenomeno 3D stia cambiando radicalmente il cinema, che pone non pochi sviluppi sia di linguaggio e di semantica che di tecnica narrativa e produttiva, e l’esperto fonico mix Gaetano Musso, che ha illustrato come anche il suono stia mutando nello spazio tridimensionale e come il sistema Dolby si stia muovendo a supporto delle nuove potenzialità che offre la visione stereoscopica.
Mentre negli Usa la produzione di film per la visione 3D, con alle spalle sperimentazioni ed esperienza, è ormai nella norma, in Europa e soprattutto in Italia, invece, tale fenomeno pone d’innanzi ad una vera rivoluzione di radicale rinnovamento, giacché seppur agli occhi dello spettatore possa sembrare tale, la visione 3D non è un effetto visivo, ma una vera e propria tecnica, che dal passato dopo vari tentavi solo oggi sembra riscuotere successo grazie al supporto di moderne tecnologie.
Il regista Jordan River ha infatti sottolineato che il 3D non è altro che un’evoluzione del settore, infatti "la ricerca della terza dimensione è storia antica e trovava tema d’interesse già nell’antica Grecia prima di Cristo, ma anche in epoca rinascimentale con Leonardo da Vinci e nell’ottocento con le prime sperimentazioni in ambito fotografico; purtroppo la tecnologia di allora non era ancora pronta per un avvenimento tecnico così sofisticato, e tutto venne insabbiato. Oggi, invece, grazie alla digitalizzazione ed alle nuove tecnologie nonché allo studio del funzionamento dell’occhio umano e del cervello in campo medico-scientifico, per il cinema, dopo la morte, inizia una nuova avventura, una sorta di resurrezione della fruizione dell’audiovisivo".
Il regista segnala comunque intenti inadeguati al graduale e sano sviluppo del settore dettati da logiche di mercato, visto l’importante riflesso di business: "com’è avvenuto con l’avvento del sonoro, del colore e del passaggio dall’analogico al digitale, inizialmente è normale, come in ogni momento di cambiamenti epocali, anche ripartire quasi da zero… parlare però d’introdurre la figura di uno ‘stereografo’ (una specie di scienziato del 3D) ritengo sia improprio, anche per l’evoluzione del settore. In passato nessuno aveva pensato d’introdurre sul set un ‘chromatografo’ con l’avvento del colore o un ‘digitalografo’ nel digitale. Ciò implica ovviamente che registi, direttori della fotografia, tecnici e artisti coinvolti nella realizzazione di un’opera filmica – che in primis è un’opera d’arte che serve a comunicare principalmente emozioni – inizino a riconsiderare i cambiamenti di linguaggio e di grammatica audiovisiva, il modo stesso di raccontare. Finanche, perfino, il modo di sentire, giacché il regista ed il suo team, assieme, hanno una grossa responsabilità: quella di aiutare a processi evolutivi senza deformazioni".