Qualche giorno fa, a Roma, un nutrito gruppo di cineasti s'è riunito per discutere, finalmente, del merito dei contenuti di chi fa cinema in Italia oggi, invece che di duopolio e tagli al Fus. L'idea diffusa tra loro - prevalentemente appartenenti alla generazione TQ - è che troppo spesso, soprattutto i giovani cineasti, si auto censurino pur di arrivare all'opera prima (o comunque all'opera cinematografica tout court) e che a furia di auto censurarsi, non siano più in grado di guardare alla realtà quale principale fonte di ispirazione.
Per questo il cinema italiano degli ultimi anni, ha scelto il genere della commedia quale via di fuga e, insieme, quale unica possibilità di espressione.
Ma ogni tanto sfugge all'auto censura qualche nuovo autore o nuova autrice e, con loro, qualche coraggioso produttore e distributore.
Non mi credete? Pensate che il cinema italiano sia finito oppure sia appannaggio dei soli Garrone e Sorrentino? O, ancora, pensate che a dire qualcosa siano rimasti solo i vecchi maestri incapaci di fare una scuola come Bellocchio?
Bene, fate così, stasera andate al cinema a vedere "Corpo celeste" di Alice Rohrwacher e inneggiate al nuovo cinema italiano, capace di dire e di dire bene, di unire contenuto e forma, di dominare il mezzo cinematografico senza lasciarsi dominare dall'ansia di dire tutto alla prima opera. Un cinema che ha il coraggio di mettere il dito dentro la piaga, senza sconfinare in facili e predatorie polemiche (la pedofilia di molti parroci, ad esempio, che viene abilmente schivata).
"Corpo celeste" è un film che parla di religione e di mediazione culturale, di spiazzamento culturale e di povertà d'animo, di fede anchilosata da troppa liturgia e di morbosità affettiva annientata da troppo amore per il potere, di commistione tra politica e fede e parla di una distanza tra la chiesa e la religione in nome della quale è stata eretta.
Brava Alice Rohrwacher, viva il cinema italiano.