I manuali ci insegnano che l'economia dei media (tra cui anche il cinema e l'audiovisivo) si reggono su prodotti immateriali culturali che producono anche valore economico. Sono i cosiddetti "beni esperienza": la visione di un film, in sala, ci cambia la vita. Che sia bello o meno bello, alla fine della visione di un film non siamo più le stesse persone di prima. Abbiamo imparato qualcosa, ci siamo emozionati, arrabbiati, innamorati. Come dopo la lettura di un libro o l'ascolto di un album musicale. Poi però anni fa arrivano sul nostro mercato dei grandi attori industriali che investono milioni di euro in mega strutture, spesso lontane dai centri storici, in un Paese che ha poche sale cinematografiche a fronte dei circa 8.000 comuni e che è fatto di estese aree rurali in cui non si riesce ad arrivare con un'offerta culturale di valore. Sono i famosi multiplex che hanno modificato radicalmente il mercato, portando tanti schermi in zone prima sprovviste e costringendo parimenti alla chiusura le piccole romantiche sale di città o di paese . Solo che i multiplex adesso esagerano con i ritorni sugli investimenti e da bene esperienza stanno trasformando il cinema in materia per addetti al marketing. Niente di più sbagliato perché si traducono le due ore di evasione (e acculturazione) in due ore e mezza d'inferno. Inutile prendersela con loro, i nuovi esercenti, che hanno investito tante risorse e vogliono veder remunerato l'investimento. Meglio fare come noi, investendo nel circuito d'Autore. E poi chiedendo alla politica, alle istituzioni, di intervenire per regolamentare l'apertura di nuovi multiplex (secondo molti la vera salvezza...del cinema commerciale, nota mia), salvaguardando e aiutando le piccole sale. Non trovate?
Fonte: Dagospia