Ermanno Olmi porta nel cognome il senso della sua vita. Come un albero fiero e tremante, conduce la sua battaglia quotidiana facendo un grande cinema di pensiero e di terra, in attesa del lucore delle cose che verranno.
Sarà un’emozione grande, una di quelle cose per cui benedici sempre il lavoro che hai scelto di fare ancora ragazzo, quando in famiglia ti guardavano strano per la scelta di negarsi alle gioie e alle ricchezze della professione liberale, assisterlo durante le riprese pugliesi del suo nuovo film la cui sceneggiatura annuncia il capolavoro, la summa narrativa, la parola definitiva che riassume una poetica.
Mentre eravamo a cena, per chiudere l’accordo che lo sta portando a girare il suo "Villaggio di cartone" in regione, insistendo nel chiamarlo "Maestro", Ermanno mi ha fermato e mi ha detto una cosa che voglio imbrigliare qui, dentro questo diario.
Ha detto "ti prego, Silvio, dammi del tu perché se continui a chiamarmi maestro, mi convincerò che non ho più nulla da imparare".
Adesso, dunque, ho imparato anche questo. Voglio imparare ancora e stare sempre accanto alle persone migliori di me. Grazie Ermanno.