Sono stato a Milano l'altro ieri, su loro invito, per l’incontro di Eave, network di produttori e videomaker europei.
Avevo tempo e come faccio spesso, per risparmiare i soldi dei pugliesi, piuttosto che prendere un taxi, sono salito sull’autobus 73 che da Linate raggiunge piazza San Babila.
Quella linea passa dinanzi al palazzo di giustizia di Milano ed io ogni volta mi fermo a riflettere, perso nel tentativo di ripercorrere i 16 anni di storia italiana che ci separano da quelle giornate tambureggianti di "mani pulite".
Sedici lunghi anni di transizione verso una nuova forma di stato?
Sono giunto, infatti a Milano, la mattina in cui giungevano i risultati delle europee e qualche riflessione sarebbe obbligatoria per capire in che Paese viviamo. Ma, si sa, oggi mancano dei veri soggetti collettivi capaci di produrre analisi intelligenti e ognuno l’analisi se la fa a casa sua, con i difetti del solipsismo del pensiero cui, la ‘società liquida’ contemporanea ci costringe.
Ebbene, cosa è successo al mio Paese in questi 16 anni?
E cosa c’entrano questi miei pensieri con il cinema e la film commission?
Mi sono laureato in storia contemporanea, la mia formazione, per quanto manageriale, risente degli studi universitari. Per questo ogni analisi che faccio la inserisco sempre in una visione prospettica. In una linea cronologica che mi aiuta a capire quali reazioni sono scaturite dalle azioni che le hanno precedute e quale peso gioca il caso nelle scelte di una nazione.
Non è giusto ragionarne ora. E’ pur sempre un piccolo blog istituzionale questo qui.
Ma dovremmo capire, prima o poi, quale peso hanno avuto i blocchi sociali dominanti in questi ultimi anni nel determinare la cultura del paese ed europea se, a vincere nel continente, sono forze per lo più conservatrici o xenofobe o euroscettiche (e non posso non chiedermi: perché diavolo si fanno eleggere al parlamento europeo se sono ‘euroscettici’?) mentre, in latinoamerica e negli USA vincono le forze del progresso che declinano il loro oggetto sociale al futuro, guardando al domani con fiducia e speranza.
Le forze politico culturali che han vinto in Europa, sono lo specchio di un continente impaurito e la paura, solitamente, non genera un buon cinema. Né aumenta gli investimenti in cultura, orientando piuttosto la spesa verso il già visto del protezionismo liberista.
Venendo all’Italia, io credo, però, che per la prima volta il consenso del premier cali considerevolmente e che, vedendo i dati assoluti, il paese è – ancora una volta – spaccato perfettamente a metà con una lieve pendenza conservatrice, peraltro prevedibile.
Cosa significa questo?
Che le forze nuove del paese, quelle giovani e quelle creative, hanno acqua nella quale nuotare perché la crepa che si è aperta a destra renderà migliore la destra stessa (visto che il monopolio berlusconiano presto o tardi dovrà essere diviso tra eredi comunque diversi da lui e dal suo populismo carismatico elementare) e costringerà la sinistra a superare l’avversione antipremier capovolgendola, finalmente, in una proposta (speriamo chiara?) per il Paese e in una analisi del mondo nuovo che viviamo.
Perché pensavo tutto questo davanti al palazzo di giustizia milanese?
Perché Milano è, oggi, una città morta, affogata nei suoi rutilanti eventi, ma incapace di programmare con pazienza politiche per la cultura.
Eppure da lì sono passate le anticipazioni più importanti per il paese: da piazzale Loreto a Sesto, da piazza Fontana e Pinelli, dalla città da bere dei nuovi parvenu alla lega nord, da forza italia a expo 2015.
Eppure, in questo nostro paese di gattopardi, dai tempi gloriosi in cui la mia generazione è cresciuta nel brodo dell’antimafia militante e della lotta alla corruzione morale, economica e politica; continuo a chiedermi – passando dinanzi a quel palazzo – ma che strada abbiamo percorso sin qui?