Da discutere.

Ci sarebbe da discutere per ore, di questo articolo stimolante che pubblica il portale "L'occidentale" a proposito del nuovo film di Sergio Rubini e che posto di seguito alla mia nota.
Io per me dico solo che l'Apulia Film Commission non sceglie i film da attrarre e sostenere, ma potenzialmente li invoglia tutti a venire in Puglia per accoglierli e sviluppare una industria ed una estetica dell'audiovisivo.
Quanto all'ethos, invece, bé nessuno di noi spera di avere tanto potere sugli sceneggiatori, al punto da orientarne gli esiti.
Le film commission non producono, ma aiutano la produzione filmica a trovare un letto comodo ove far scorrere il fiume creativo della composizione complessa che si chiama cinema.
Ad ogni modo mi sembra, quello di Ferrero un punto di vista forte, che merita di esser letto.
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"Abbiamo visto "L’uomo nero", il nuovo film di Sergio Rubini, sceneggiatori Domenico Starnone e Carla Cavalluzzi, interpreti, tra gli altri, Riccardo Scamarcio e Valeria Golino. Non staremo a riassumere la trama o altri elementi del film, lasciando agli spettatori un giudizio su com’è scritto (non male),  girato (molto bene) e interpretato (sufficientemente).  Quello che c’interessa approfondire è un altro discorso, che riguarda la Puglia, il Mezzogiorno, e il revival identitario che stiamo vivendo negli ultimi anni. Fino a 15/20 anni fa di Bari e provincia non si parlava quasi mai; il Sud era Napoli, se proprio si doveva raccontarlo in qualche modo. Poi c’è stato un piccolo boom di film (Piva, lo stesso Rubini), gruppi e band musicali (Caparezza, i Negramaro), autori e narratori (Nicola Lagioia), che hanno rilanciato l’immagine della Puglia – anche grazie a operazioni politicamente mirate come la "Notte della Taranta".
Sergio Rubini è stato bravo a raccontare questa emigrazione di giovani cervelli i quali, abbandonato il luogo dove sono nati perché gli stava troppo stretto, ci ritornano da grandi, scoprendo le proprie origini contadine e piccolo-borghesi, la famiglia e il dialetto, in una poetica senz’altro personale quanto originale (si veda "La Terra"). Creare una memoria individuale e collettiva è un intento senza dubbio nobile, ma non scevro da implicazioni politico-ideologiche. "L’uomo nero", in questo senso, scade in quella che potremmo chiamare "invenzione della tradizione". Un revival piuttosto facile del come eravamo in cui l’identità reale di un luogo, il Mezzogiorno d'Italia, viene sostituita con immagini olografiche e tutto sommato "vintage" (che non è un'offesa, solo una constatazione). Il passato diventa un macigno divertente e spassoso, ci mancherebbe, ma probabilmente lontano dalla Storia.
Dicevamo delle implicazioni politico-ideologiche. Dietro il film di Rubini aleggia la vendoliana "Apulia Film Commission" che, con la sua programmazione culturale, se da una parte si distingue per un virtuoso pragmatismo (ha svecchiato il cinema pugliese, salvandone i pilastri come Mariolina De Fano e creando nuovi divi alla Scamarcio), dall’altra rischia di produrre semplici operazioni di marketing culturale, omologante e nostalgico. Il Sud arretrato e romantico, pigro ipocrita e a volte squallido, un po’ folle un po’ represso, esotico pittoresco e ricco di tradizioni popolari. Il Sud dei Venusio e dei Pezzetti, dei critici stitici che si contendono dieci righe sulla Gazzetta del Mezzogiorno (Rubini ci tiene a precisare che lui la rispetta, la critica). Un Sud, in fin dei conti, leggermente stereotipato."
di Berardino Ferrero
13 Dicembre 2009
Fonte: L'Occidentale