“Fernando, l’ultimo poeta rivoluzionario venuto dal Sud”. Si sono concluse le riprese, fra Margherita di Savoia ed il Tavoliere pugliese del film breve di Cosimo Damiano Damato dedicato al regista Fernando Di Leo ( il film è realizzato con il contributo di Apulia Film Commission).
Nel 1960 Di Leo pubblica un libro di poesie dal titolo “Le intenzioni” riscoperto oggi, grazie alla Cineteca Nazionale e alle Edizioni Sabinae ( il critico Luca Pallanch ha collaborato alla sceneggiatura con Damato). Una perla preziosa per chi ama la poesia del 900. Di Leo poeta è straordinario, il suo sguardo civile è potente, pasoliniano e corsaro nei versi, a volte quasi profetico, di quella rivoluzione che sarebbe arrivata otto anni dopo. In alcuni versi sembra di ritrovare la stagione di “Nuova scena” di Dario Fo. In altre si rivela visionario ed orfico come nelle poesie dedicate al Sud. Quello che aleggia in ogni sua poesia è un’inquietudine giovanile esistenziale, mista al suo sangue, quello meridionale che non crede e che sa fare miracoli, che coglie la solitudine di Dio e la ricerca degli uomini che non sono altro che “creature assetate di eterno”.
Le sequenze ispirate alle poesie diventano quadri in movimento che rivelano un giovane intimista capace di leggere la sua terra, il suo sangue, le tradizioni con una cifra visionaria potente, rivivono così personaggi come Argiumas ( interpretato da Tony Capa) si ritrova su una spiaggia a ricordare un tempo perduto attraverso la danza di un vecchio carillon con flashback frammentati da “Avere vent’anni”. Lo stesso Damato interpreta un personaggio visionario che ricorda El Topo di Jodorowsky che per la sua appassionata ricerca del senso della vita fluttuante viene avvicinato dall’autore pugliese alla ricerca poetica del giovane Di Leo. La riscoperta di Fernando Di Leo poeta (già celebre regista, amato da Quentin Tarantino che si è ispirato alle sue pellicole per i suoi lavori) assume oggi un grande valore per la poesia del novecento. Attraverso questa piccola storia rivivono i suoi versi giovanili ed insieme alla poetica (che attraverso le sue inquietudini ne anticipa anche le visioni autoriali registiche metterà in campo negli anni settanta) il regista Cosimo Damiano Damato (nato a Margherita di Savoia a pochi chilometri dalla San Ferdinando di Puglia di Di Leo) racconta anche il loro Sud, quello magico e maledetto di un mondo ormai scomparso. Come scrive Renzo Arbore, rileggendo queste poesie inedite scopriamo “un uomo saggio, profondo, appassionato, pieno di nobili intenzioni per la vita e per gli altri”. Anche il linguaggio usato per raccontare la storia assume una connotazione nello stile visionario tipico di Damato che dona al film una narrazione teatrale. L’essenza di Fernando aleggia nel film percorrendo i suoi luoghi dell’infanzia ovvero la Puglia, le inquietudini, gli amori giovanili, i fervori rivoluzionari di protesta convivono nei suoi sentimenti di ragazzo.
“I miei debiti nei confronti di Fernando sono tanti, di passione e anche cinematografici”. Queste le parole d’amore di Quentin Tarantino per Fernando Di Leo. A riscoprire l’autore di “Avere vent’anni” e “Milano Calibro 9” non è solo Tarantino ma anche la critica, la stessa che negli anni settanta l’ha ignorato, ignorando la sua sceneggiatura per Sergio Leone di “Per un pugno di dollari”. Il suo viaggio in versi sono una vera perla preziosa di questa rinascita, attesa e dovuta. Questo lavoro è anche un atto d’amore di Damato per la sua terra, da Margherita di Savoia lungo tutto il tavoliere, la fotografia sapiente è di Gianni Galantucci. Il film breve vedrà anche una contaminazione visual, fra musica, voce e alcune brevi sequenze da “Amarsi male” con un inedito e giovanissimo Lucio Dalla alle prese con le rivoluzioni studentesche.
“Fernando di Leo ritorna nel suo Sud – racconta Damato - come Odisseo dopo tanto girovagare per i mari dalle onde di pellicola in balia di spietate sirene, ritrova l’incoscienza rivoluzionaria giovanile nei versi de Le intenzioni, visitando un tempo in cui il corpo è svanito, vi abita solo l’anima, in scenari desolati e poetici, un soffio che ritorna vita. Una voce off, quella di Michele Placido, disegna la danza di un tempo immobile, gli amori, le speranze, le contestazioni e le visioni. Ogni scena è concepita come una architettura lontana, i paesaggi contemporanei si spogliano della presenza umana, fino a dissolversi negli elementi in cui ritrovare i sensi in uno struggente commiato alla vita celebrandone il volo in una filosofia di fisica quantistica. Una soggettiva in versi in direzione ostinata, sfidando fisica e ragione. Nessun culto dell’autore, ma una straordinaria scoperta archeologica di una poesia che era andata perduta, rimasta sospesa fra le pietre e il mare del Sud che ora riemerge da una camera oscura, in un bianco e nero che esplode di colori”