Ecco una ennesima, puntuale e utile analisi di Stefano Balassone che condivido sin nelle pause.
"Rai e Mediaset venti anni fa si spartivano il 90,5 per cento degli spettatori (il residuo andava disperso fra le tv locali); quest’anno sono al 72,6 per cento.
Un arretramento vistoso, ma platonico perché dovuto alla crescita della pay tv che non intacca – se non marginalmente – i ricavi pubblicitari delle vecchie reti generaliste. E tuttavia Rai e Mediaset sono strette dai problemi del bilancio e non paiono avere un’idea di sé nel futuro. Del resto il futuro hanno sempre preferito allontanarlo piuttosto che affrontarlo.
Ad esempio, venti anni fa, mentre, come oggi, scadeva la Convenzione ventennale con lo stato, Raiuno (guardando all’intera giornata) era precipitata al 17,2 per cento, dietro Raidue al 17,4, mentre Raitre, la cenerentola dei budget, ancora diretta da Angelo Guglielmi, era riuscita in pochi anni a inerpicarsi dallo zero virgola al 10 per cento, e aveva ancora ampi margini di crescita.
Le cifre confermavano quel che gli addetti ai lavori già sapevano e cioè che l’idea paternalista di Servizio Pubblico alloggiata nella prima rete Rai era esaurita e perdeva spettatori a fiotti nonostante che prima Agnes e poi Pasquarelli (i direttori generali espressi dalla Dc) vi avessero iniettato vagonate di soldi a spese della stabilità dell’azienda.
Preso atto di quella crisi, poteva essere il momento della svolta. E invece prima i “professori” poi il cda Moratti-Marchini (ma anche i cda a maggioranza di centrosinistra che seguirono), scelsero di usare pezzi delle reti ex “minori”per rimpannucciare la decaduta ammiraglia. Come uno che uccidesse Renzi per trapiantarne gli organi in Berlusconi e farlo sopravvivere a se stesso. Così, dopo altri venti anni, ci risiamo: Raiuno, è ricaduta al minimo storico di venti anni fa; ma nel frattempo Raidue è precipitata al 6 per cento (era al 17,3) e Raitre è scesa al 6,9 (era al 10).
Sempre di quei tempi (fine ’94), Berlusconi sloggiato dopo pochi mesi da Palazzo Chigi accarezzò l’idea di consolidare il business stravincendo negli ascolti (i suoi giunsero perfino ai pour parler con la squadra della terza rete Rai). Ma poi, visto che come leader della destra riusciva comunque a proteggere i suoi affari, si concentrò a spremere i vantaggi del duopolio (dove la Rai sbarra l’ingresso alla concorrenza aliena, ma senza farla in proprio perché la legge impone un plafond ai suoi ricavi pubblicitari).
In quello stagno duopolista se la Rai arretrava, Mediaset si guardava bene dall’avanzare, tanto i profitti erano comunque assicurati, e ancora oggi le due aziende si rispecchiano con Canale5 alla stessa quota (18 per cento) di Raiuno e la coppia Italia1 e Rete4 al 6 per cento come le dirimpettaie Raiuno e Raidue.
A smuovere lo stagno è però arrivata la crisi della pubblicità: quella congiunturale, ma interminabile, collegata all’andamento dell’economia; ma anche quella strutturale dovuta al sorgere della concorrenza del web, dove Google e soci se ne infischiano del duopolio e della legge Gasparri che lo ingessa. Tanto la crisi congiunturale quanto quella strutturale prendono il duopolio in contropiede, arroccato sui primi sei tasti del telecomando e in un pulviscolo di offerte minori. Un assetto dispersivo, che per struttura impedisce il formarsi delle masse critiche di risorse necessarie per rompere l’assedio e realizzare prodotti capaci di farsi largo nel mercato globale
Se fossimo in un mondo guidato dalla razionalità, qualcuno (il governo per la Rai; la famiglia per Mediaset) dovrebbe smontare questo assetto di canali-barchetta per condensarlo in due o tre bastimenti veri. E senza vergognarsene (perché perfino la Bbc, che ha il triplo dei soldi Rai, ha appena tolto dal telecomando e trasferito al web il canale Bbc3. E Bbc4 sta per seguire) giacché non esistono alternative. Tranne quelle irragionevoli, anche se provvisoriamente furbette, sempre adottate in passato."