Pubblico l'intervista a un produttore che seguo e mi piace molto, Lionello Cerri (e di cui abbiamo appena finanziato un'opera). A Milano discutono di questo. Pubblicato sul Corsera.
Cerri: cultura? E' caos. Un patto per Milano, il pubblico va coinvolto
Il produttore: "Perché comprare la Manifattura Tabacchi per la scuola di cinema se non ci sono fondi per farla?"
Tra pochi giorni Lionello Cerri festeggerà i 30 anni dell'Anteo. Contemporaneamente sta producendo il nuovo film di Silvio Soldini, "Cosa voglio di più". Si girerà a Milano: "Anche se Milano è una delle città più difficili per girare un film".
Perché?
"Perché è una città cara e la Filmcommission funziona male".
Perché il pubblico non collabora con il privato?
"Nel passato il pubblico era a disposizione dell'esistente e lo aiutava ad emergere. Oggi, il pubblico si sovrappone alle strutture esistenti e manca quel coordinamento che fa crescere le eccellenze".
Ma voi privati non avete nulla da rimproverarvi?
"Certamente si può migliorare e di molto negli atteggiamenti. Ma voglio ricordare che per esempi a Roma si è fatta la casa del cinema, del jazz, della lettura, della poesia. Non dico che questo sia il modello da seguire ma credo sia importante che qualcuno dica a noi del cinema, o agli scrittori, o ai musicisti: "Perché non troviamo un posto dove poter mettere in linea le idee, confrontarvi sui vostri materiali, parlare ai ragazzi?".
Interventi pubblici per la cultura?
"No, credo che gli interventi a pioggia non servano a niente. Ma mi chiedo: perché comprare la Manifattura Tabacchi per farci la scuola del cinema quando ci sono pochissimi soldi per lavorare su l'audiovisivo in generale".
Quindi, c'è bisogno di un Manifesto della cultura come ha chiesto Davide Rampello?
"C'è bisogno di un Manifesto. Soprattutto rispetto agli operatori culturali. E soprattutto un Manifesto che coinvolga il pubblico che a Milano è colto, esigente, preparato. Senza le domande che sorgono dal pubblico sarebbe un Manifesto monco".
Al primo punto cosa metterebbe?
"È importante che la città investa sulla cultura coinvolgendo i privati e invitando al tavolo il pubblico, che è un pubblico di eccellenza".
Uno dei temi emersi con forza è la ricerca dell'identità della città. E Milano è il fare. La cultura può lavorare sulla rappresentazione del fare.
"Milano si è sempre rappresentata per quello che è: il fare. Ma non per quello che potrebbe essere. Il fare rappresenta la fotografia dell'esistente. Quello che "potrebbe essere" è la collaborazione tra pubblico e privato, un bel discorso di eccellenza".
La lingua torna a battere dove il dente duole.
"Noi gestiamo l'Anteo da quasi 30 anni. Mi ricordo che quando iniziai c'erano assessori molto attenti alla vita culturale: Corbani, Aghina. Mentre, oggi, mi sembra che prevalga la logica dell'evento. La somma degli eventi non fa la politica culturale di una città. Sono appuntamenti. Questo discorso non vale solo per il cinema, per le "prime" d'eccezione, ma per tutte le arti. Milano per anni è stato un punto di riferimento internazionale. Ora non lo è più, perché non c'è sistema".
Maurizio Giannattasio
20 marzo 2009