Si inseguono in queste ore articoli e commenti, invero pepati e maliziosi, sul destino del Festival di Venezia e del suo rapporto con quello romano.
C'è già chi ritiene il direttore Barbera troppo presuntuoso e chi detesta Marco Muller e la sua scelta di aver "collaborato" con il nemico di classe.
Io penso che le parole siano importanti, almeno quanto le scelte che si fanno - in qualità di direttore artistico di un grande festival culturale internazionale -.
Quella di Venezia, infatti, s'intitola "Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica". Ha come scopo quello di proporre al pubblico e agli addetti ai lavori un cinema non necessariamente commerciale, capace cioè di giungere e soddisfare i gusti di un grande pubblico, ma di coltivare nuovi terreni, scoprire nuovi talenti, diffondere "arte cinematografica".
Vedremo dunque i film selezionati in e fuori concorso al Lido e li giudicheremo singolarmente e nel loro complesso.
Tuttavia si può già oggi dire che Amelio, Dante, Rosi sono tre perfetti rappresentanti del cinema d'arte italiano e che per i temi e gli stili scelti sono tre scelte rischiose e dunque corrette. Dal punto di vista di un festival d'arte. Parimenti possiamo dire delle scelte straniere: Franco, Landesman, Gitai, Miyazaki, Frears (nostro ospite all'ultimo Bif&st), Gilliam, Morris, Avranas, Dolan, Allouache, Reichardt sono scelte assai lontane - come ci ricorda ottimamente l'editoriale odierno di Mereghetti sul Corsera - dal gusto medio cinematografico e dunque sono coerenti con le finalità della Mostra veneziana.
Perché l'arte è spiazzamento, ribaltamento, innovazione, scarto, bellezza, ricerca.
Mentre l'industria culturale serve a democratizzare l'arte, a renderla fruibile anche alle masse, a tradurla in formae riprodotte.
Al momento non conosciamo invece il programma del prossimo "Festival internazionale del film" di Roma. Sappiamo che è stato scelto un professionista serio e stimato come Massimo Saidel per dirigerne e rilanciarne il mercato. E abbiamo letto le dichiarazioni programmatiche dell'Assessore regionale del Lazio, la scrittrice Lidia Ravera e del suo Presidente Nicola Zingaretti, che annunciano di voler fondere il "Roma fiction festival", ideato dal "nostro" Felice Laudadio (quanta buona Puglia c'è nel mondo!) e il festival del cinema, puntando sulla costruzione di un vero, grande mercato dell'audiovisivo che abbia in Roma la sua autorevole piattaforma.
Ecco, a me pare che questa scelta sia giustissima. Personalmente la predico da anni: a Roma serve un grande serio, credibile ed utile mercato. Del quale possano beneficiare anche le film commission (che invece a Venezia raccolgono poco o nulla in termini di contatti di business). Corollario del mercato sia un grande festival dell'audiovisivo (cinema e fiction televisiva, con incursioni nei format più innovativi), distribuito sul territorio capitolino, di modo da coinvolgere il generoso pubblico romano e di uscire dalla trappola del "tappeto rosso", tanto inutile, quanto dispendioso.
Il Bif&st ci insegna che un festival è grande, nei numeri, se grande è l'affetto del suo pubblico. Il mercato ha invece bisogno di strutture e servizi che il Lido non potrà mai offrire.
E allora, in assenza di una politica nazionale che decida e orienti, ci pensino le forze dell'industria e gli amministratori locali a dare questo orientamento davvero necessario e - credo - intelligente: a Roma si fondino i due festival, creandone uno innovativo e unico specializzato in audiovisivo e si ri-crei il mercato dell'audiovisivo italiano che possa competere con Marché e Mip. Lo avevamo, si chiamava Mifed e si teneva a Milan: lo hanno distrutto. Colpevolmente.
Venezia continui invece a fare quel che per 7o anni ha saputo fare per pubblico e industria: scovare e far conoscere il cinema più avanzato, creativo, innovativo.
Ne abbiamo e sempre avremo bisogno.