Il dibattito viene alimentato da Angelo Amoroso D'Aragona che, come capita spessissimo, scrive cose intelligenti. Mi permetto, dunque, senza il suo preventivo consenso, di pubblicare il suo intervento apparso in una mailing list cui sono iscritto. Se il diretto interessato non lo ritiene opportuno, sono a disposizione in qualunque momento per eliminare il post.
A seguire, dibattito...
"il fatto che l'intervento di Paolo sia stato ripreso dal Direttore della Film Commission prova che sarà pure una provocazione ma uno scherzo non è. A Fabio mi verrebbe da chiedere cosa gli ha prodotto di buono il sistema delle "opere prime". Vogliamo dirci con franchezza cosa significa? Come CINECLUB DEI RECIDIVI proiettammo il documentario di Anton Giulio Mancini in cui Giancarlo Santi ("Facevo er cinema") lo spiegava con grande efficacia. Capirlo sulla propria pelle è peggio! Un produttore passa assegni prende dei soldi per far fare un'opera
prima ad un (presunto) autore (presunto perchè il produttore non ha fatto nulla per accertarsi che lo sia, ha solo contato il numero di pagine della sceneggiatura che non ha pagato ma opzionato si), avuti i soldi si preoccupa solo di gonfiare i costi e spendere il meno possibile o nel miglior dei casi ti fa fare il film più o meno come vuoi tu ma non si preoccupa minimamente di farti da sparring partner, di discutere con te la sceneggiatura (che fa schifo e negli USA
riscrivono 20 venti ma in Italia prima non si paga e dopo non si tocca perché il Ministero se no non paga), di litigare sui punti deboli del film, insomma di decidere le strategie di quello che volente o nolente oltre che una (presunta) opera d'arte è e deve essere un "prodotto".
Ma come mai allora chi produce un prodotto non è interessato al suo esito commerciale? Ovvio il perché. E' molto comodo che il prodotto costi poco incassi meno, mettersi in tasca la rimanenza del costo ufficiale rispetto a quello reale, fare spalluccie sull'esito del film che è colpa del regista e aprire la porta al prossimo, tanto di OPERE
PRIME si tratta, o no?! Ma allora sì: Venga avanti il prossimo! Siamo tutti MATERIA PRIMA DI UNA TRUFFA LEGALIZZATA. Detto ciò, caro Fabio, siamo sicuri che perdere l'anima e anni di sacrifici per un flop annunciato sia la strada migliore? Certo a qualcuno va bene ma deve arrivare al terzo film perchè di fatto incominci da zero, tutto da
capo e senza che le prime due ti siano servite, anzi. Non mi sembra che la provocazione di Paolo sia quindi proprio una provocazione. Lo stesso Film Fund ha dato dei contributi a opere inizialmente non passate dal Fondo, una perché in concorso a Venezia, l'altra a Torino. Non è mestiere mio trovare soluzioni a questi quesiti ma io ho
comprato l'HDV e ci sto provando. Avevo giurato a me stesso di non fare più investimenti produttivi e concentrarmi solo sulla mia persona. Sono tornato sui miei passi e non mi sono pentito, pur tra le mille difficoltà. La più grande di queste difficoltà - e chiudo - è però quella di non vivere e lavorare in un ambiente dove soffi davvero
un vento di indipendenza. Non ha mai soffiato in Italia dove il cinema ministeriale si autodefinisce indipendente (da che?) e men che mai soffia in Puglia, a Bari in particolare. Mi dispiace dirlo ma è così. La fatica con cui costruiamo Recidivi ne è la conferma. Sono stato tre volte in nord America e la differenza è palpabile. L'ultima volta ho
intervistato un film maker albanese che vive con moglie figli in un buco e con un condominio che ve lo raccomando. In casa aveva il doppio delle mie attrezzature, amici con un Teatro Off all'angolo, amici che lavorano per History Channel, altri albanesi che lavorano a RAI Corporation grazie alla lotteria Green Card ecc ecc. Forse che loro
hanno solo il mercato e quindi gli viene più facile? Forse dovremmo chiederci non come fare perchè diano i soldi solo ai veri autori e per veri capolavori ma come fare a far nascere un Mercato perché solo con questo si possono avere le condizioni per provarci ANCHE ad essere autori e fare capolavori (magari con qualche correttivo ma pensiamoci
una volta che il mercato lo abbiamo)."
Angelo Anamorfo
Devo rilevare che anche per due intellettuali raffinati come Paolo ed Angelo, la fatica di “vivere” la cultura, il confrontarsi quotidianamente con le difficoltà poste alla base di ogni “libero pensatore” avulso da circuiti predefiniti, sono elementi condizionati ad avviare confronti su argomenti che se pur più sensibili per la loro quotidianità, non portano contributi effettivi al monte della problematica.
La loro macchina da presa zummata sul messale di Don Abbondio, ha abbandonato la visione più ampia e panoramica iniziale.
Fuori dalla metafora, credo utile affrontare questo intero panorama così come descritto nella sua solo apparente provocazione da Alessandro Baricco, e condividerne l’analisi per addivenire a una strategia correttiva che veda coinvolti tutti gli operatori culturali.
Ferme le condizioni di assoluta inutilità dell’attuale sistema di “aiuti” alla cultura nelle sue varie forme espressive, ferme pure la inutilità di produrre cultura fine a se stessa, in assenza di casse di risonanza che ne consenta la fruizione a quanti oggi “soporiti” da pensieri preconfezionati e propinati dai midia attuali.
Già Eric Fromm aveva anticipato la possibile deriva patologica che tra trasmittente e ricevente messaggi comunicativi avrebbe potuto innestarsi, in condizioni di mercato.
L’addetto culturale infatti, sia esso giornalista, regista, scrittore, pone una sua opera originale sul mercato; questo, nelle persone che lo compongono, è arricchito nel suo pensiero dalle informazioni ricevute, ma in generale tende al consumo di prodotti più di facile fruizione (gossip, ludico, pruderì ecc)
Ma pure l’addetto culturale è orientato ad accontentare questo mercato più vasto ed andare incontro a questa domanda, anche per atavici vizi della cultura nostrana, quasi sempre “serva” del padrone.
Questo feed-back che dovrebbe in positivo orientare e coordinare la domanda e l’offerta su basi di reciproco arricchimento, di fatto ha generato l’assoluto impoverimento della offerta culturale.
Le conseguenze sono ormai di pubblico dominio, la letteratura premia le formiche che si incazzano, la filmografia i films panettoni, la televisione i reality fasulli e i format “culturali” con quiz a risposte multiple, la cronaca giornalistica i gossip, la musica leggera meglio soprassedere, si plaude ad attori in virtù delle volgarità espresse, la politica ne subisce e ne cavalca i condizionamenti per ottenere premio ……………..
Abbiamo così creato una società che non sa più elaborare pensieri originali, che sappia esprimerli nelle forme a ciascuno congeniali, che sappia o voglia divulgarle attraverso le innumerevoli forme di comunicazione oggi disponibili.
Abbiamo con lo sfrenato edonismo, ridicolizzato i pochi rimasti che con sacrificio continuano a percorrere le impervie strade di una sana cultura e ne inibiamo la loro visibilità.
Le ultime correnti di pensiero di minoranze che hanno sollecitato dibattiti culturali ed arricchito la società, forse le dobbiamo a Marinetti ed a De Chirico, se non valutiamo i pensatori di Francoforte come Marcuse o il neorealismo postbellico e tutti i suoi grandi protagonisti.
Oggi che con la crisi economica sono emerse tutte le contraddizioni, i Paolo, gli Angelo e tutti gli altri coinvolti, in perfetta buona fede, discutono animatamente su come rimuovere i sintomi e non le cause del degrado culturale.
Mi chiedo ad esempio, dove erano costoro quando, dopo aver elaborato eccellenti prodotti, nessuno ne dava visibilità. Eppure non esiste midia, soprattutto locale che non riceva corposi finanziamenti i quali dovrebbero consentire di pretendere spazi deputati alla cultura ed alle nuove produzioni, sia in virtù della povertà dei palinsesti proposti, sia per consentire una sana competizione delle produzioni quale sano compito del mercato, per dare continuità ai migliori.
CONCLUSIONI
Riconosco valide le argomentazioni addotte dai signori De Cesare e Amoruso d’Aragona circa il sistema contributivo, visto che la cultura ( al momento) non si regge senza aiuti, purchè accompagnate da una battaglia per la visibilità che prescinda dall’audience, delle opere prodotte per consentire al mercato la sua meritoria opera di selezione.
Ma è importante ricreare le condizioni che consentano la “rinascita” del pensiero, requisito essenziale per la promozione sociale, culturale ed anche economica dell’intera società.
Qui la provocazione di Baricco diventa strategica!
La scuola così come ora dimensionata ed organizzata, è funzionale all’attuale società; il pensiero sessantottino allarmò le classi dominanti che videro discusse loro rendite di posizione e quindi si difesero radicalizzando quella che oggi è definita “cultura di massa”, consistente in pacchetti di pensiero preconfezionato e somministrato nelle varie sedi, tra queste le più importanti: la televisione e la scuola.
Strumento tattico essenziale cui far ricorso per questo obiettivo, la mediocrità a tutti i livelli, comprese le persone coinvolte per le somministrazioni, che si prestano purchè ben pagate (spettacolo) o ricattate (scuola).
Di conseguenza abbiamo condotto la mediocrità da Valore a Disvalore.
La scuola e la televisione vanno “riscattate” e ricondotte al loro compito naturale: dare le chiavi di lettura analitiche e critiche su tutto ciò che ci circonda, oltre a consentire di elaborare propri pensieri e avere strumenti e linguaggi per comunicarli.
In apparenza il percorso può sembrare lungo e difficile, ma se consideriamo quante sane risorse disponibili, oggi per vari motivi inibite e/o tenute in “stand-by” possono essere messe in campo a beneficio della causa, (e non mi riferisco ai soli Paolo ed Angelo) la strada sembra maggiormente vicina.
Uno scatto di reni quindi da parte di quanti di buona volontà, uniscano gli sforzi per la comune ragione, sacrifichino il breve termine per una semina propedeutica ad un ricco raccolto, anche se questo sarà in gran parte a beneficio delle future generazioni, consentirà a noi, i nostri figli e nipoti, di vivere in un mondo migliore e più giusto.